giovedì 6 settembre 2012

Digiuno

C’è scritto chiaro e tondo nel Vangelo (parole di Gesù): «Quando digiunate profumatevi il capo e lavatevi la faccia». Il precetto non ha valore estetico, ma è piuttosto una sorta di antidoto all’obesità delle abitudini pigre, contro il naso perennemente appiccicato al cellulare. Il digiuno affila la mente. Ma sfila pure il corpo. L’invito a una maggiore sobrietà, rispetto all’obesità, viene dalla Chiesa ed è rivolto ai credenti. Il pranzo si salta spesso per esigenze di lavoro, si praticano ferree diete per apparire magri e chi ha soldi se ne va in clinica proprio per non mangiare e «farsi» di tisane.

Il digiuno, invece, dovrebbe essere il segno d’identità dei credenti. Antonio Socci, giornalista, cattolico, non solo dice di rispettare i precetti della Chiesa ma va addirittura oltre: segue alla lettera quelli della Madonna di Medjugorje che obbliga i fedeli al pane ed acqua tutti i mercoledì e i venerdì. «Che è peggio del digiuno perché è la rinuncia al gusto. Perché lo faccio? Il digiuno è ascesi che dà libertà, una pratica che permette di acquisire un dominio del proprio corpo e degli istinti».
Anni fa la Conferenza episcopale aveva persino invitato al digiuno televisivo in periodo di Quaresima. È fondamentale rinunciare a qualcosa. Abitua alla temperanza contro l’intemperanza. Ufficialmente esiste ancora il divieto di mangiare carne al venerdì. Purtroppo, dice lo scrittore Vittorio Messori, è stato in qualche modo annacquato. Reso aggirabile. Spiega: «Un decreto di Paolo VI confermava il divieto ma diceva anche che qualora si fosse contravvenuti alla regola si sarebbe dovuto compensare con un’opera di carità. Senza però specificare quale».
E’ ancora Pierangelo Sequeri a ricordarci che “il digiuno affila la mente. La rinuncia rende acuto lo sguardo. L’esercizio dello spirito ingentilisce il gesto. L’eleganza del distacco ridona sensibilità all’essenziale. La silenziosa lotta con il male rende affidabili. Il credente transita così, con gesto sobrio e discreto, attraverso le anime flaccide e sepolcrali delle nuove divinità d’Occidente. Impara ad abitare coraggiosamente la disperazione della vita che vive per niente. Insegna a morire per qualcosa di enorme che riguarda tutti. Segna la soglia del mistero. E ci rende capaci di varcarla”. (P.Sequeri, Tempo di Quaresima. Oltre obesità e delusioni, Avvenire, 9.3.11).

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